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Immagine del redattoreGiovanni Centola

IT: paura, crescita e consapevolezza


IT, il romanzo più famoso di Stephen King, racconta di un gruppo di bambini alle prese con un mostro dalle fattezze di un clown. Si tratta di un vero capolavoro di psicologia infantile: il mostro IT è il “terrore senza nome” di cui tanti bambini fanno esperienza, soprattutto in un contesto familiare traumatico o trascurante.

Stephen King pubblicò il romanzo IT nel 1986, unendo elementi fortemente horror ad altri di formazione. Da subito il libro ebbe grande successo, tanto che negli anni successivi ne sono stati tratti una miniserie televisiva, diretta da Tommy Lee Wallace (1990), e più di recente due trasposizioni cinematografiche, entrambe dirette da Andy Muschietti: IT (2017) e IT – Capitolo due (2019).

Tra i temi trattati, le conseguenze profonde dei traumi infantili.


IT, questo alieno mostruoso e mutaforma, conosciuto per lo più nella sua forma di clown chiamato Pennywise, questo mostro in agguato, non è nient’altro che una metafora di tutte quelle paure che non riusciamo ad affrontare da piccoli e che ci influenzano anche nell’età adulta; la paura di non essere accettati, di affrontare un sopruso, di sciogliere i legami con familiari invadenti, di superare le dicerie sul nostro conto, di affrontare qualcosa con serietà, senza battute.

IT è il bullo che non denunci per paura di non essere creduto, il simbolo del distacco fra il mondo dei ragazzi e quello degli adulti.

La genialità di King sta nell’usare questo mostro come strumento per raccontarci la crescita di un gruppo di ragazzi, che potremo tranquillamente essere noi, e il loro ritorno ai fantasmi del passato una volta adulti. Perché se da ragazzino balbettavi, eri grasso, sfigato o ritenuto “una poco di buono” questa cosa ti resta dentro, anche se la tua vita adulta si realizza dentro di te ci sarà sempre un ragazzino che veniva deriso nei corridoi della scuola.

Perché King non si limita a parlare di ciò che il mostro fa e di come i ragazzi lo conoscono e lo affrontano, ma parla soprattutto di come diventano amici, in quelle che sono probabilmente le parti più belle e intense del romanzo, assieme a quei momenti di riflessione sulla crescita e su come sia un processo continuo ma di cui ti rendi conto quando ormai hai varcato quella soglia invisibile che separa il bambino dall’adulto.

IT è un libro che andrebbe letto in due momenti della propria vita: da ragazzi e da adulti, proprio come i protagonisti vivono la storia. E se magari da ragazzi lo spavento per la minaccia di Pennywise è reale e tutto ciò che fa da contorno può sembrare quasi noioso, da adulti improvvisamente tutto acquista un senso differente, come un giocattolo che da piccoli ci diverte e da grandi diventa un simulacro di periodi più spensierati che conserviamo gelosamente.

Tutto ciò è reso possibile soprattutto grazie allo stile di Stephen King, uno dei pochi scrittori in grado di gestire periodo e divagazioni enormi senza mai annoiare il lettore. Uno dei suoi trucchetti preferiti è concentrarsi su un dettaglio, una persona, una situazione, descrivendone con minuzia di particolari ogni possibile sfumatura, in attesa che un evento catastrofico spazzi via tutto. Tutto ciò che moltiplicato all’ennesima potenza in IT, visto che un romanzo interamente basato su dicotomie: bambini e adulti, perdenti e bulli, sopra e sotto, passato e presente, bene e male. Questo gli permette di giocare tantissimo con i sentimenti e la vita dei protagonisti per poi inserire un elemento di disturbo: un padre violento, un palloncino rosso, un’inquietante casa in Neibolt Street che è la fonte di ogni nefandezza.

King ha la portentosa capacità di sbatterci in faccia senza tanti complimenti il bambino che siamo stati.

Volendo tentare una lettura psicologica di IT, alcuni aspetti interessanti potrebbero essere:

  • IT è in grado di sintonizzarsi in modo veloce e perfetto con i bisogni del bambino che irretisce: riesce a muovere i bambini al suo volere agganciandoli per via psicologica (per esempio, Bill, da adulto, viene mosso a IT dal senso di colpa causato dal non essere stato presente al momento dell’uccisione del fratello Georgie);

  • la forza di IT, sta nello stato di isolamento delle vittime: viene invece sconfitto dalla “rete” creata dal gruppo (il gruppo dei “perdenti”); la forza del gruppo è chiara in tutto il romanzo, sia verso IT, che verso altri gruppi rivali (tutti i membri del gruppo dei Perdenti sono vittime di bullismo);

  • i bambini vittime di IT sono figli di genitori assorti da preoccupazione, o attivamente assenti; tutte le vittime del pagliaccio cercano invano le attenzioni di un genitore distratto; un tratto che accomuna le vittime del mostro è un generale senso di assenza genitoriale;

  • IT è alimentato dalla fantasia e dal potere che gli si attribuisce (più lo si pensa grande, o lo si teme tale), più diventa grande; nelle fasi finali del film, sarà il coraggio manifestato dai “perdenti” a ucciderlo, progressivamente rimpicciolito dalla rinnovata condizione di “empowerment” raggiunta dalle sue ex-vittime;

  • convincersi o rendersi conto del fatto che IT sia solo un parto della propria mente, renderà il mostro innocuo, ma NON SEMPRE; non è sufficiente cioè immaginare IT come un proprio delirio per renderlo nullo: come dire, il “mostro” può essere generato dalla mente, ma ha effetti concreti, reali, sul corpo (e le persone ne muoiono);

  • scappando da Derry (il luogo dell’infanzia), tutto ciò che in essa accadde verrà dimenticato, rimosso dalla coscienza; tornando a Derry, occorrerà riacquistare familiarità con il luogo e ri-ricordare, riprendendo il possesso delle esperienze traumatiche lì vissute; solo così potrà compiersi il rituale di “uccisione del mostro”; sconfitto il mostro, si potrà “ricominciare” a ricordare, e i pezzi della propria vita si uniranno in un canovaccio coerente in senso narrativo;

  • scappare da Derry fu, al tempo, salvifico. Mike, l’unico dei perdenti rimasto a Derry, diverrà lo “sciamano” del gruppo, colui cioè che condurrà gli altri alla comprensione del modo con cui IT potrà venire ucciso; il lavoro di ricerca e osservazione da lui svolto, andrà al servizio degli altri; svolto il suo lavoro di guaritore/sciamano, potrà lasciare Derry, liberato;

  • dopo la latenza di 27 anni fuori Derry da parte dei Perdenti, il presentarsi alla coscienza del ricordo di IT sarà in grado di procurare forti recrudescenze post-traumatiche ai diversi membri (Stanley si suiciderà, Eddie si schianterà in auto in preda a un episodio di disturbo dissociativo, gli altri avranno reazioni eccessive, “autonomiche”, corporee);

  • la memoria di IT non si risolve né scompare: viene relegata in un angolo della mente, come rimossa o dissociata dalla coscienza.

  • IT viene visto solo dai bambini, gli adulti ne sono immuni; In un certo senso, il pagliaccio rappresenta la realtà esterna perturbante quando vengano a mancare figure di supporto che sappiano proteggere o almeno “spiegare” la realtà.

I Perdenti in questo senso sono vittime esemplificative delle due tipologie di trauma: alcuni di essi sono vittime di trauma “attivo” (come Beverly, molestata dal padre); altri sono vittime di incuria e quindi per lo più ignorati dai genitori.

Volendo tentare una lettura in chiave psicotraumatologica di IT, vi si ritrova tutto, dalle diverse tipologie di trauma, alla questione espositiva (occorrerà attraversare il trauma, non ignorarlo), alla potenza terapeutica della narrazione, alla forza della rete, all’importanza, durante l’infanzia, delle figure genitoriali.

Impressionante la resa delle risposte autonomiche con cui si ripresenta il trauma alla soglia della coscienza (forti risposte corporee, vomito, dissociazione mentale, sincope, suicidio per troppo terrore).

Chiarissimo l’accento posto sulla rappresentazione stessa del trauma, in grado di rendere più o meno tollerabile il trauma stesso: IT (se lo si legge come il/un trauma, ovvero un oggetto in primo luogo interno, psicologico) è ri-dimensionabile a seconda di quanto potere gli si attribuisca: ma per far sì che il suo potere diminuisca, occorrerà affrontarlo.

Il romanzo di King ci indica dunque una via, che è il fronteggiamento, l’elaborazione attiva del trauma.

Ma allora, chi è IT? Cosa vuole dirci Stephen King con questa sua opera? Come prima cosa, va riconosciuto che il romanzo rappresenta un capolavoro di psicologia infantile, un viaggio nelle turbe dell’infanzia, un’esplorazione di tematiche che la maggior parte delle persone, crescendo, dimentica o mette da parte.

IT, in questo senso, è la paura del buio, è il terrore senza nome verso ciò che non si conosce, ma è anche la paura del bambino non protetto o traumatizzato da chi dovrebbe accudirlo, è lo spavento del non prevedibile, lo sconcerto del bambino solo nell’osservare le reazioni spropositate di un genitore squilibrato.

Chiunque abbia sofferto durante l’infanzia, o possieda reminiscenze di terrori infantili, ne verrà toccato e perturbato.

La natura di IT ci viene invece svelata progressivamente, sempre più man mano che il romanzo si avvia alla sua conclusione.

Alla fine, la chiave di lettura più importante dell'opera è il rituale della crescita, la perdita dell'innocenza fanciullesca, l'ingresso in un cieco, ottuso e corrotto mondo adulto.

Su questa base (indiscutibile) allora è evidente cosa sia IT: è, appunto, questo mondo adulto, un mondo che ci attende con fauci spalancate.


Per approfondire:

It (1986) di Stephen King

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