Howard Phillips Lovecraft, l’autore horror per eccellenza da cui tutti gli altri hanno preso ispirazione e la cui abilità è ancora oggi un astro altissimo verso cui tutti gli autori horror dovrebbero virare.
Per molto tempo, fino a quando negli anni Sessanta la critica europea non lo ha riscoperto, Lovecraft è stato uno scrittore praticamente rimosso dalla letteratura del suo paese, gli Stati Uniti.
Nato nel 1890 a Providence, nel Rhode Island, scrisse un’ottantina di racconti, tre romanzi non lunghi e un gran numero di liriche e saggi per la quasi totalità nell’ambito della narrativa fantastica, onirica e dell’orrore. Quando morì, a quarantasei anni, gran parte della sua produzione era ancora inedita o pubblicata soltanto su riviste popolari ignorate dalla critica ufficiale.
Tutta la sua fama è postuma e si deve al successo delle traduzioni delle sue opere in francese, italiano e tedesco; opere che soltanto l’affetto dei suoi conoscenti e dei suoi colleghi autori di narrativa fantastica aveva permesso fossero preservate.
Oggi Lovecraft è diventato l’oggetto di un vero e proprio culto letterario e i suoi scritti vengono riesaminati con scrupolo filologico. La sua figura è tracciata in tutte le enciclopedie e le storie letterarie e ne viene riconosciuto l’influsso su tutta la narrativa moderna del soprannaturale.
La breve vita di Lovecraft è affascinante quasi quanto la sua narrativa. Bimbo precoce che aveva imparato l’alfabeto a due anni, che leggeva a quattro e scriveva poesie a sei, fu allevato da una madre nevrotica e iperprotettiva dopo aver perso il padre, ricoverato in una clinica per malati di mente quando lui aveva solo tre anni. Crebbe come un giovane introverso e devoto ai libri, in cui l’interesse per la letteratura del soprannaturale si legava a quello per la scienza, specialmente l’astronomia e la chimica. Leggendo i vecchi volumi della biblioteca del nonno, imparò a parlare, scrivere, pensare nell’inglese del Settecento e per tutta la vita rimase legato al XVIII secolo.
Amava l’architettura coloniale, la scienza, l’arte, la letteratura, i gatti, la cucina italiana e i gelati, Aborriva la volgarità, l’ignoranza, il freddo, il pesce e detestava, al limite della ferocia, ogni intrusione straniera nell’integrità culturale del suo amato New England.
La cattiva salute che lo perseguitò fin dall’infanzia, portandolo a morte prematura, gli impedì di seguire studi regolari.
Visse gran parte della sua vita nella nativa Providence, tranne un periodo di circa due anni (1924-1926) trascorso a New York, ove convisse con la moglie Sonia, sposata nel 1924 e dalla quale si divise presto. Viaggiò comunque molto negli Stati Uniti, specie nel corso del suo ultimo decennio di vita, alla ricerca di antichità coloniali e luoghi storici. I suoi molti amici lo ricordano concordemente come un uomo mite, cortese, colto, di grande fascino personale e di integrità adamantina: quando lo descrivono, l’espressione che più ricorre è “un vero gentiluomo, nel vero senso della parola.”
La letteratura era tutta la sua vita, ma poiché restrinse le sue prove alla letteratura fantastica, di scarsa diffusione, non riuscì mai a trarre di che sostenersi. Si guadagnò l’esistenza facendo il revisore di manoscritti altrui, un lavoro faticoso e mal pagato che non gli permise mai di superare la soglia della povertà. La sua integrità di letterato è degna di grande rispetto. Scrisse soltanto quando qualcosa, entro di sé, gli imponeva di farlo e praticamente mai per pure esigenze commerciali. Vero perfezionista, scriveva e riscriveva all’infinito i suoi testi, sempre alla ricerca dell’espressione giusta, ma non ne era mai soddisfatto, tanto che lasciò gran parte delle sue opere nel cassetto, facendole leggere soltanto agli amici più stretti. Quando le inviava per la pubblicazione, preferiva ritirarle piuttosto che consentire ai direttori delle riviste popolari di correggerle o manipolarle per renderne lo stile più adatto ai palati grossi dei loro lettori: tutto ciò malgrado la povertà che lo stringeva.
Credeva alla letteratura come fine a se stessa e scrisse soltanto per propria soddisfazione personale, rifiutando sempre di venire a compromessi con la propria arte. Filosoficamente parlando era un razionalista e non credeva in nulla di soprannaturale, neppure dal punto di vista religioso. È un paradosso perciò che sia divenuto autore di alcune delle più famose storie di soprannaturale che siano mai state scritte, dando vita ad una vera e propria mitologia letteraria, quella dei Miti di Cthulhu, dal nome di una delle divinità spaventose da lui inventate e che oggi ha un’infinità di seguaci in tutto il mondo e persino gruppi di persone che aderiscono ad essa come ad un vero e proprio culto.
Non considerando più plausibili come fonti di terrore, nel mondo moderno, i fantasmi, i demoni e i mostri della narrativa gotica tradizionale, spostò le fonti dell’orrore verso l’infinito, negli abissi insondabili del tempo e dello spazio, calandole allo stesso tempo negli sconosciuti abissi della mente umana. In tal modo, attuò un vero e proprio rovesciamento di prospettiva rispetto agli schemi classici della letteratura horror, tanto da essere definito da Fritz Leither un “Copernico letterario”.
Il cosmo raffigurato nelle storie di Lovecraft è vasto, spaventoso e incomprensibile ed è ancora più terrificante per la sua indifferenza nei confronti dell’umanità. Nella sua opera ricorre una vasta serie di tematiche (la degenerazione, gli illeciti connubi, la ricerca di sogni impossibili, la possessione psichica, la morte, le intrusioni dell’impossibile nella realtà, la sospensione delle leggi naturali, l’impotenza e l’inessenzialità dell’uomo in un universo rigidamente meccanicistico). Ma alla radice, tutti i suoi scritti sono interconnessi, e costituiscono un complesso letterario omogeneo che potrebbe essere letto come i capitoli indipendenti di un solo romanzo.
Lovecraft ha reso possibile questo effetto grazie a due artifici fondamentali:
l’invenzione di un vero e proprio pantheon orrorifico, citato in gran parte delle sue storie; una complessa mitologia formata da entità e forze abominevoli e con culti segreti e libri sacri proibiti come il famoso Necronomicon;
la tendenza a far manifestare queste entità in un ambiente ben definito, una specie di cerchio magico evocatorio il cui perimetro si sovrappone ai confini geografici di un New England immaginario ma perfettamente realistico e sovrapponibile a quello reale, con la città di Arkham e la sua Miskatonic University, custode di sapienze proibite, lo sperduto borgo di Dunwich, in cui si praticano riti blasfemi e il porticciolo di Innsmouth, sede di commerci innominabili con entità abissali ecc.
Questa mitologia e questi toponimi ricorrono nella maggior parte delle sue opere, conferendo loro un senso di unità e un’impressione coerente del tutto particolari e indimenticabili.
L’opera di Lovecraft sfida ogni tentativo di classificazione; pur trattando di entità extraterrestri, i suoi non sono veri racconti di fantascienza, perché non si basano sull’estrapolazione di conoscenze acquisite o ipotizzabili, non sono opere fantastiche alla maniera di Tolkien, perché non presuppongono l’esistenza di una storia umana alternativa o sconosciuta, o di mostri come vampiri e licantropi, perché non prevedono l’estensione della vita dopo la morte e un aldilà dal quale siano concessi ritorni.
Di fatto costituiscono una nuova e del tutto originale categoria narrativa solo debolmente collegata alla tradizione letteraria del soprannaturale.
Per Lovecraft la paura più importante è quella per l’ignoto, questo è fondamentale. Prima di Lovecraft, l’horror si basava sul visto, su qualcosa di cui avere paura per un motivo, ad esempio un enorme mostro che può schiacciarti, con denti aguzzi che possono divorarti, artigli, urla terribili. Anche le prime opere di Lovecraft, le quali risentono molto dell’influenza del suo maestro Edgar Allan Poe, l’anello di congiunzione tra gotico e horror, mostrano la creatura in questione, ma in seguito Lovecraft si rese conto che si ha paura di qualcosa per un motivo allora per un altro motivo potresti trovare coraggio; se conosci il nemico sai come affrontarlo, ma un mostro che non puoi vedere, una presenza che non puoi sentire, non hai alcuno modo per combatterlo e soprattutto non sai cosa temere!
I mostri di Lovecraft non sono mai descritti chiaramente ed è questa la cosa tremenda, perché non sai cosa devi temere. Se nulla viene detto allora tutto è possibile ed è la mente a riempire gli spazi vuoti con tutte le possibilità peggiori contemporaneamente, persino con possibilità che neanche possiamo immaginare. Questo è l’orrore lovecraftiano.
Lovecraft visse in un’epoca in cui tutte le conoscenze ritenute certe stavano per essere demolite: la scienza aveva distrutto il sistema di credenze precedenti e Lovecraft stesso era ateo, come abbiamo già detto; la scienza stava andando oltre i limiti e Lovecraft non era un positivista, uno che ritiene che il sapere umano illumini l’oscurità, al contrario, secondo lui la conoscenza non faceva altro che mostrare quanto poco ne sappiamo, quanto siamo piccoli e insignificanti e soprattutto quanto tutto ciò che pensavamo di sapere è in realtà instabile.
Lovecraft viveva quindi nell’epoca del trionfo del modernismo dove tutte le mode, le etiche e le culture sono mostrate come relative e tutti i canoni sono rotti; le “geometrie non euclidee” citate nelle sue opere non sono nient’altro che una metafora del fatto che il mondo che noi immaginiamo non è l’unico possibile, che l’uomo non può conoscere la realtà perché quest’ultima è indeterminata, non c’è una casualità perfetta bensì il caos.
Tutto ciò portò Lovecraft ad un profondo scetticismo, poiché secondo lui l’uomo non può conoscere il mondo, ma questo in realtà è positivo perché molto probabilmente ci sono cose così terribili che solo conoscerle porterebbe l’uomo alla follia, orrori così immensi che la nostra mente non può neanche immaginare.
In molte opere di Lovecraft c’è infatti una conoscenza proibita, un antico manoscritto come il già citato Necronomicon, un reperto archeologico che rivela un’altra civiltà evoluta o oscure verità che portano al caos; l’uomo è intrappolato nella caverna di Platone, non potrà mai uscirne e se dovesse provarci si troverà davanti a qualcosa di mostruoso ad attenderlo fuori.
In sintesi, secondo Lovecraft, l’universo potrebbe anche avere un senso, ma l’umanità non è parte di questo disegno: per Lovecraft il vero orrore non è scoprire che Dio non esiste, ma piuttosto scoprire che esiste e che i suoi figli prediletti non siamo noi!
Gli esseri mostruosi descritti da Lovecraft sono infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, ostili all’uomo o non se ne curano, ma il solo osservarli direttamente potrebbe distruggerci e quando decidono di sfruttarci per i loro scopi hanno piani che sono solo malefici. Queste creature sono semplici alieni incredibilmente avanzati e potenti da sembrare divinità, sono malvagi, assetati di potere e conducono terribili esperimenti e torture sugli esseri umani che incrociano il loro cammino: questo è misoteismo, l’odio verso la divinità che però non produce una rivolta di stampo romantico contro il divino, ma è più simile al luciferismo perché la divinità è troppo potente e quindi non è possibile alcuna vittoria; gli dèi dormono e quando si svegliano e si accorgono di noi hanno solo idee terrificanti.
Le stesse divinità di Lovecraft che hanno creato l’uomo per divertirsi a distruggerlo sono state a loro volta create da divinità più potenti, a simboleggiare una sorta di piramide di illusioni.
Dal punto di vista politico, Lovecraft è un uomo della sua epoca e quindi considerava superiori rispetto a tutti gli altri solamente i WASP (White Anglo-Saxon Protestants), i discendenti dei coloni inglesi del New England, dove era nato e cresciuto. Oltre che verso le persone di colore, i meticci e gli asiatici, Lovecraft criticava anche alcuni bianchi come gli italiani, gli spagnoli e i tedeschi, ma con il tempo iniziò ad aprirsi e ad elogiare anche questi gruppi di bianchi e gli ebrei, tanto che sposò una donna di origini ebraiche.
Il suo razzismo era allineato con quello del tempo, in cui la segregazione razziale era normalizzata, e vedeva nella mescolanza delle etnie un male; si ritiene che il concetto di mostruosità lovecraftiana che ingravida donne umane generando orribili ibridi sia una metafora della sua avversione al matrimonio interrazziale.
Il suo soggiorno a New York, grande metropoli dove etnie di ogni sorta vivevano e lavoravano, lo indusse ad accettare i vari bianchi e col passare del tempo perse le sue idee razziste, non vede più i bianchi americani come superiori; inizia a pensare ad esempio che un giapponese nato e vissuto negli Stati Uniti e perfettamente integrato con la società è a tutti gli effetti un americano.
Da sottolineare il fatto che criticò in numerose occasioni il Ku Klux Klan, definendolo razzista e fondamentalista.
Il suo razzismo cambiò in una sorta di razzismo culturale: per lui non era più questione di bianchi, neri o gialli, ma di bianchi, neri o gialli intelligenti contro bianchi, neri o gialli ignoranti; un uomo, di qualunque estrazione razziale e sociale, può quindi elevarsi dal suo stato.
Abbandonò in seguito ogni pretesa di classismo e nelle sue opere possiamo leggere infatti che le famiglie nobili (anche quelle di origini inglesi) sono spesso vittime di incesto, deformi, perverse, chiuse nella propria mentalità retrograda e preda di culti antichi e pericolosi.
Con il tempo Lovecraft abbandonò quindi la pretesa della superiorità dei bianchi sia quella della superiorità dei nobili e i suoi racconti non sono più bianco contro nero bensì uomo civilizzato contro barbarie.
Lovecraft ebbe molti amici con cui scambiava una numerosa corrispondenza epistolare e a questi ultimi lasciava anche la libertà di utilizzare i personaggi delle sue storie.
Dopo la morte di Lovecraft vennero altre storie e il pantheon lovecraftiano venne ulteriormente arricchito e quindi, anche se Lovecraft morì povero e dimenticato, la sua eredità culturale lo ha reso incredibilmente famoso; numerosissimi libri, fumetti, film, serie televisione, videogiochi e canzoni si ispirano alle sue opere.
Fu di certo un uomo molto strano e catalogare la sua figura è difficile quanto catalogare le sue opere, ma il giudizio più efficacie che gli si possa dare l’ha dato uno dei suoi biografi, Lyon Sprague de Camp che termine così il libro di cinquecento pagine che gli ha dedicato;
“Malgrado le sue stranezze, coloro che lo conobbero lo amarono e ne furono affascinati. Cercò sempre di fare la cosa giusta. Continuò ad imparare e a migliorarsi per tutta la vita e questo, mi sembra, è il miglior uso cui si possa mettere la mente umana”
Per approfondire:
Lovecraft: A biography (1976) di Lyon Sprague de Camp
Lovecraft, fabbro di sogni e di visioni (1993) di Gianni Pilo
H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita (2001) di Michel Houellebecq
Comments