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Immagine del redattoreGiovanni Centola

Halloween in Italia


Pensate sul serio che Halloween sia una festa estranea alle nostre tradizioni? Niente di più sbagliato! Dal Nord al Sud sono molte le tracce di questa festa nella storia dell'Italia. Zucche comprese.

Come abbiamo visto nell'articolo dedicato alla storia di Halloween, quest'ultima, Ognissanti e la commemorazione dei defunti sono tre feste che hanno molte cose in comune, a partire dalla loro origine: quando la Chiesa cattolica si trovò ad affrontare il problema delle feste pagane, tra cui quella di Halloween, molto radicate nei costumi popolari, capì che era più facile inglobarle che estirparle; in risposta ad Halloween, Papa Gregorio IV spostò la festa di Ognissanti al primo novembre; più tardi, venne istituito anche il Giorno dei Morti, il 2 novembre.

Nel celebrare la commemorazione dei defunti, una tradizione vuole che i primi Cristiani vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d'anima”; più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore. Una tradizione decisamente analoga a quella degli antichi druidi e sacerdoti pagani dell'Europa pre-cristiana.

A Serra San Bruno, in Calabria, vi è la secolare tradizione del "Coccalu di muortu". I ragazzini, dopo aver intagliato una zucca riproducendo un teschio (in dialetto serrese, appunto, "Coccalu di muortu"), gironzolano per le vie del paese tenendo in mano la loro creazione e, o bussando agli usci delle case oppure rivolgendosi direttamente alle persone che incontrano per strada, esordiscono con la frase: "Mi lu pagati lu coccalu?" ("Me lo pagate il teschio?").

In Puglia, a Orsara di Puglia, la notte tra l'1 e il 2 di novembre si celebra l'antichissima notte del "fucacost" (fuoco fianco a fianco): davanti a ogni casa vengono accesi dei falò (in origine di rami secchi di ginestra) per illuminare la strada di casa ai defunti (in genere alle anime del purgatorio) che in quella notte tornerebbe a trovare i viventi. Sulla brace di questi falò, viene cucinata della carne che tutti mangiano in strada assieme ai passanti. Nella giornata dell'1 novembre, nella piazza principale, si svolge la tradizionale gara delle zucche decorate (definite le "cocce priatorje", le teste del purgatorio).

A San Nicandro Garganico, cittadina in provincia diFoggia, l'1 novembre è usanza andare di porta in porta a chiedere un'offerta. I bambini bussando alla porta recitano la filastrocca "damm l'anma i mort, ca snnò t sfasc la porta" (dammi l'anima dei morti, altrimenti butto giù la porta). Questa usanza ricorda molto quella del dolcetto o scherzetto, tipica dei paesi anglosassoni.

A Massafra, cittadina in provincia di Taranto, gli anziani raccontano che la notte del 31 ottobre l'"aneme du priatorie" (anime del purgatorio) lasciano il cimitero e percorrono in processione le vie del centro storico usando il pollice a mo' di candela e raggiungendo le chiese per celebrare la messa dei morti. Se incontrano qualcuno per strada lo portano con sé. La tradizione popolare vuole che un tale mentre si recava al lavoro all'alba vide che in chiesa c'era la messa e vi entrò. Al termine della messa quando il prete si girò per la benedizione, si accorse che era senza naso. Solo allora si rese conto che tutti quelli che erano intorno a lui erano morti e fu sopraffatto. Le anime del purgatorio erano molto rispettate dagli anziani tanto che a loro era dedicato un posto a tavola con tanto di posate e tovagliolo. Le anime rientrano nel cimitero la notte dell'Epifania.

In Friuli e Veneto (dette lumère, suche baruche o suche dei morti) era diffusa la tradizione di intagliare zucche con fattezze di teschio, e la credenza che nella notte dei morti questi potessero uscire dalle tombe, muoversi in processione, irretire i bambini, e infine che gli animali nelle stalle potessero parlare. Sempre in Friuli era diffusa una tradizione simile a quella del "dolcetto o scherzetto", ma applicata nelle festività natalizie o carnevalesche, feste che hanno pure origine come riti di passaggio d'anno, similmente a Halloween. In queste occasioni i bambini, eventualmente travestiti da figure spaventose e mostruose, potevano bussare di porta in porta recitando filastrocche il cui significato era quello di chiedere dolci, noci o piccoli regali, in cambio di un augurio rivolto all'interlocutore di accedere al paradiso.

In Sardegna e in Corsica è conosciuta nel Sud come Is Animeddas (Sarrabus) o Is Panixeddas; in Ogliastra come Su Prugadoriu; nel Nuorese come Su mortu mortu, Sas Animas o Su Peti Cocone (Orosei). È una tradizione antichissima e prevede che i bambini si rechino di casa in casa per chiedere di fare del bene per le anime dei morti attraverso richieste di doni usando frasi di rito come "Mi ddas fait is animeddas?" ("mi fa le piccole anime?") o "Carchi cosa pro sas animas" ("qualcosa per le anime). I bambini che bussano alle porte si presentano nel Nuorese come "sos chi toccana" ("quelli che bussano")". Caratteristiche simili a Halloween si riscontrano anche nel Nord dell'isola, nell'antica festa di Sant'Andrea celebrata a Martis e in altri comuni dell'Anglona e del Goceano: la notte del 30 novembre gli adulti vanno per le vie del paese percuotendo fra loro graticole, coltelli e scuri allo scopo di intimorire i ragazzi e i bambini che nel frattempo vagano per le strade con delle zucche vuote intagliate a forma di teschio e illuminate all'interno da una candela. I giovani, quando vanno a bussare nelle case, annunciano la loro presenza battendo coperchi e mestoli e recitando una enigmatica e minacciosa filastrocca nella locale parlata sardo-corsa Sant'Andria muzza li mani!!... (Sant'Andrea mozza le mani) ricevendo in cambio, per questa loro esibizione, dolci, mandarini, fichi secchi, bibite e denaro.

In Emilia, in particolare a Reggio Emilia, si festeggia mangiando dolci chiamati favette o ossa dei morti. Sono biscotti dolci di pasta alla mandorla e di zucchero aromatizzate e colorate fatte a forma di ossa. Si dice che mangiare tali dolciumi porti bene in quanto richiamano la protezione dei morti cari, in modo che possano proteggere dalla rigidezza dell'inverno.


A Terracina, nel basso Lazio, la tradizione locale aveva un suo modo di celebrare la ricorrenza della cosiddetta “Festa dei morti”, dedicata alle anime dei defunti. Ed era il gioco dei “poveri morti”. Frotte di bambini, con in testa una scatola di scarpe bucata a mo’ di maschera, giravano la città bussando alle case e, una volta aperto, chiedevano un dono. Era il dono che si faceva ai morti. Mandarini, qualche spicciolo, caramelle, merendine.

L’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani, professore di Etnologia all’Università di Roma La Sapienza, nel suo libro Il ponte di San Giacomo, ha analizzato i luoghi del mondo contadino italiano. Satriani, era infatti convinto che la popolare festa degli orrori statunitense, non sia altro che contaminazione di una tradizione popolare tutta italiana, ed in particolare quella calabrese del “Coccalu di muortu”, la quale è celebrata in Calabria molto prima che negli Stati Uniti iniziasse la tetra messa in scena di Halloween.

In conclusione, tutte le regioni italiane, c'era una tradizione pagana locale, ma alcune sono andate irrimediabilmente perdute ed è un vero peccato che molti Italiani si lamentino di Halloween parlandone in toni sprezzanti come se i loro nonni non l'avessero mai festeggiata.

Halloween in Italia c’è sempre stata, solo che ce ne siamo dimenticati.





Per approfondire:

Il ponte di San Giacomo (1996) di Luigi M. Lombardi Satriani, Mariano Meligrana



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